mercoledì 9 giugno 2021

 




La radura del Prunno, le fonti e il sacro


La famosa radura del Prunno, sull’Altopiano di Asiago non è certo un luogo segreto. Anzi, nonostante non sia più attrezzata come un tempo rimane ancora uno dei posti più frequentati dell’Altopiano, dove si tengono manifestazioni e si incrociano numerosi sentieri e facili passeggiate. Il suo nome non deriva da nulla che abbia a che fare con l’albero del pruno o simili, ma dalla presenza nell’area di una fonte. In cimbro, effettivamente la parola fonte è Prunn. Se si cammina distrattamente lungo il sentiero o si scorazza nella radura si potrebbe non trovarla, ma è là, abbandonata e dissestata. Eppure un piccolo corridoio di lastre calcaree e scalini, ci fanno ancora immaginare una sistemazione quasi monumentale di questa sorgente. Su un altopiano carsico come questo le fonti in quota sono rare, quindi a maggior ragione preziose. Tanto preziose da dare il nome all’area intera e a volte da diventare sacre. Una volta ho visitato un luogo sacro aborigeno in Australia, nelle Blu Mountains che si chiama Katoomba. Il nome significa “luogo delle acque che precipitano”, per la presenza di una spettacolare cascata. Così il binomio tra territorio e fonte d’acqua diviene palese e inscindibile attraverso la toponomastica, che conserva il ricordo dell’importanza di questi punti per la sopravvivenza umana. Oggi non avrebbe senso, l’acqua esce dal rubinetto, ma c’è stato un tempo (e neanche troppo lontano) in cui per tutte le civiltà umane un punto d’acqua aveva importanza campale per la comunità. Le sorgenti e le fonti “nominavano” la zona, venivano curate e rese veri e propri monumenti della vita. L’aspetto funzionale e pratico camminava di pari passo con quello sacrale e estetico. Katoomba non è diverso da Prunno. La magia dell’acqua ispiratrice della vita viene sottolineata e diventa la ragione essenziale per cui conoscere e riconoscere quel luogo.

Il fatto che il Prunno fosse frequentato come stazione di caccia stagionale già dal Paleolitico (il Riparo Battaglia è una stazione sottoroccia che ha restituito un gran numero di manufatti e resti di cacciagione), non fa che confermare tale centralità. La presenza di riparo e acqua sono stati i primi “lussi” dei nostri antenati. I luoghi in cui sgorgava l’acqua sono stati tra i primi luoghi sacri, con un culto specifico già in epoche remotissime e spesso sono rimasti tali a discapito dei secoli e delle civiltà. Spesso lo sono ancora oggi. Ma in fondo, che abbia preso o no una connotazione religiosa ufficiale ogni fonte d’acqua ha una sua sacralità intrinseca non per forza codificata. La religione greco/romana aveva superato questo problema assegnando indiscriminatamente ad ogni fonte una ninfa. Riproducendo addirittura sorgenti nelle grotte artificiali come luoghi sacri (i ninfei). Le tradizioni anche posteriori ci parlano sempre di esseri acquatici che “presidiano” fonti e corsi d’acqua, come le Anguane (che probabilmente dalle ninfe in qualche modo derivano), particolarmente presenti in ques’area.

Il grande storico delle religioni Mircea Eliade scriveva: “Chi fra i Greci, poteva vantarsi di conoscere i nomi di tutte le ninfe? Erano le divinità di tutte le acque correnti, di tutte le sorgenti, di tutte le fonti. Non le ha prodotte l’immaginazione ellenica: erano al loro posto, nelle acque, fin dal principio del mondo; dai Greci ricevettero forse la forma umana e il nome. Sono state create dallo scorrere vivo dell’acqua, dalla sua magia, dalla forza emanata, dal mormorio delle acque”. Ecco forse questa frase spiega meglio di qualunque altra il rapporto tra uomo e fonte. Spiega perché ogni corso d’acqua, nel luogo in cui dal grembo della terra esce alla luce del sole, venga spesso monumentalizzato, sottolineato. Non fa eccezione il Prunno dove, pur nella spartana povertà dell’utilizzo delle classiche lastre calcaree e nella rovina dell’abbandono, questo intento si percepisce. Come si percepisce l’antica sensazione di rispetto e tranquillità che solamente una fonte che sgorga nel bosco sa dare.