venerdì 27 agosto 2021




Perché la montagna non è un giardino


Negli ultimi periodi mi è capitato con crescente frequenza di leggere articoli e post sui social inerenti all’aumento del numero di incidenti in ambiente montano, spesso causati da mancanza di esperienza e/o equipaggiamento idoneo. Per chi frequenta assiduamente la montagna o per chi con essa ci lavora, questi fatti non sono nuovi. E’ sempre capitato di incontrare o prestare aiuto a persone evidentemente impreparate (anche psicologicamente) a gestire l’ambiente montano. Quello che colpisce è da una parte l’aumento degli “sprovveduti” (si badi bene, gli incidenti in montagna accadono anche a persone espertissime), dall’altra una eco mediatica che si fa sempre più massiccia (con articoli che spesso tradiscono evidentemente la poca conoscenza dell’ambiente da parte di chi scrive). Da questo fenomeno, evidentemente collegato, nascono alcune considerazioni.

E’ innegabile che da qualche anno la montagna ha visto crescere in maniera esponenziale la presenza di fruitori. Le restrizioni alle quali abbiamo dovuto sottostare nell’ultimo periodo hanno accentuato sensibilmente questo trend (centri commerciali chiusi, spiagge cui era difficile accedere, teatri, musei, cinema, palestre scomparsi dalla nostra esistenza per un anno). Un maggiore afflusso è un bene soprattutto per le economie dei luoghi di montagna, ma anche per una più diffusa conoscenza della bellezza che le nostre montagne custodiscono. E allora dove sta il problema? Il punto è che la crescente affluenza ha generato, soprattutto nei luoghi storicamente più famosi un effetto circolare pericoloso a livelli simbolico. Da una parte, infatti le più note località montane, quelle per intenderci dove ci sono montagne alte e tanti km di spettacolari sentieri da percorrere, per far fronte nel migliore dei modi ad un’utenza sempre più ampia, hanno, giustamente, fatto tutto il necessario per rendere fruibile e sicuro il proprio territorio. Questo è successo nel tempo, non certo oggi. Ecco quindi che i sentieri sono perfettamente manutenuti e segnalati in maniera tale per cui è quasi impossibile già solo avere il dubbio su dove si sta andando. In alta quota si trova una rete di rifugi in cui poter dormire, riposarsi e mangiare (e bene anche), con il wifi, i parchi giochi per i bambini fuori. Fino a 3000 metri si incontrano graziose panchine in legno, ponticelli per superare i torrenti, staccionate come parapetti alle viste mozzafiato (instagrammabili, si direbbe). E’ un male tutto questo? Ovviamente no, anzi è valorizzazione del territorio, ampliamento della fruibilità, aumento della sicurezza e dell’estetica del territorio. Ma qui vengono le note dolenti, ossia l’aumento vertiginose dei frequentatori della montagna, molti di loro poco avvezzi alle alte quote e agli ambienti montani. Il pericolo è che passi per alcuni la percezione che la montagna sia un meraviglioso, curato, sicuro giardino in cui ammirare e fotografare spettacolari viste. Cosa che la montagna non è e non sarà mai. Innanzi tutto gran parte delle montagne italiane (dagli appennini alla Calabria, comprese molte zone alpine e prealpine) non sono affatto così. La rete sentieristica è valida ovunque, ma non è quasi mai a prova di improvvisazione. I punti di appoggio possono essere scarsi e sicuramente molto meno prodighi di servizi. Spesso la montagna ha l’aspetto di uno stupendo, grandioso ambiente brullo e ostico, pieno di pericoli, in cui stare attenti a tantissimi fattori (e non parlo degli animali, poveretti), che vanno dal terreno al tempo, dall’esposizione alla difficoltà di orientamento. Per affrontare con una ragionevole sicurezza questi ambienti si deve essere sufficientemente preparati, oppure affidarsi a qualcuno che lo è (guida, amico con una buona esperienza), altrimenti si può rischiare grosso. Inoltre anche i percorsi più accuratamente tenuti e tracciati nascondono insidie che si deve conoscere. Perché poi succede di trovarsi al punto di inizio di una intera rete sentieristica dolomitica e sentirsi chiedere da una turista per la quale potrei essere chiunque: “da che parte devo andare per fare un’escursione?” così, una a caso.

La montagna non è un giardino neanche dove ci somiglia. E’ un luogo di prudenza e di conoscenza, un ambiente ostico e complesso al quale avvicinarsi in punta di piedi e con tantissimo rispetto. L’improvvisazione può essere la risposta ad eventi inaspettati, non la base dalla quale partire.

Quindi fanno male a segnalare così bene i sentieri? Ovvio che no. Il problema è prendere atto di un nuovo approccio alla montagna, molto più generalista e prendere adeguate misure per aumentare il grado di consapevolezza di chi si avvicina a questo spazio magico e complesso. Far passare messaggi che aiutino un pubblico più ampio possibile a comprendere non soltanto le regole del gioco per la propria sicurezza, prima tra tutte la capacità di valutare la scelta del percorso in base alla propria esperienza, ma anche le norme di comportamento adatte al rispetto dell’ambiente che si attraversa, che sono fatte di attenzioni differenti da quelle che siamo abituati a osservare in altri contesti (urbano o rurale), perché specifiche di uno spazio limite, comunque e sempre estremo, spesso di confine. In fondo quello che mi piace pensare è che un’escursione in montagna (anche a bassa quota) sia sempre un’avventura e come per ogni avventura, piccola o grande, bisogna essere preparati.

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