Camminare per riscoprire il territorio
Tutti sappiamo, in qualche
modo, che camminare fa bene. Fa sicuramente bene al fisico, aumenta il fiato,
rassoda i muscoli, fa dimagrire; probabilmente sappiamo bene anche che fa bene
alla mente, distende, aiuta a riflettere, a prendere decisioni, a porre in una
prospettiva diversa i problemi della vita. Un vecchio adagio latino recita:
“solvitur ambulanda”, camminando si risolve.
In effetti non bisogna mai
dimenticare che l’atto di camminare è uno dei principali e più naturali gesti
umani sin dall’alba della nostra specie. E’ talmente naturale da essere
scontato e talmente scontato da non essere visto come essenziale; eppure oggi
più che mai muoversi a piedi è al centro di un movimento informale, di un
dibattito e di una serie infinita di formulazioni scientifiche e psicologiche,
che dimostrano in modo inequivocabile quanto non sia più scontato il fatto di
muovere un piede dietro l’altro. In effetti non è l’atto in se e per se, la
dinamica a correre rischi, quanto più che altro il fatto di prendere seriamente
in considerazione questa pratica come mezzo valido di spostamento. L’auto, il
computer, la pigrizia hanno dato una spallata notevole all’importanza di
camminare e, dove fino a qualche anno fa si trattava di una ineluttabile
necessità, oggi si parla di “piacere di camminare”, rendendolo sport.
Dietro la rinascita del
cammino vi è una filosofia ben precisa, chiamatela teoria del movimento lento
(in contrapposizione alla logica della velocità, che oggi domina ogni discorso
sullo spostamento) o in qualunque altro modo, ciò che conta è che gli adepti
del cammino ne hanno fatto spesso uno stile di vita. Il cammino è stato spesso
associato alla meditazione, per concetto e per sensazioni (si veda in proposito
Leria Michael M., Street Zen, l’arte di
camminare in meditazione); ma senza andare oltre lo stretto utilitarismo,
nelle moderne teorie della psicologia motivazionale e del lavoro, alcuni
pionieri ne hanno intravisto le potenzialità anche come strumento di crescita lavorativa
e gestionale, rendendola un’attività fortemente formativa in termini
manageriali, soprattutto per quel che riguarda il miglioramento prestativo
sotto gli aspetti dell’orientamento al risultato, della tenacia, della
flessibilità, dell’autocontrollo e della fiducia in sé. Le considerazioni che
qui interessano sono molto più semplici: vivere il territorio e conoscerlo fino
in fondo non può prescindere dall’atto primordiale di calcare le strade e i
sentieri tracciati per questo sulla terra. Indubbiamente mettersi in cammino,
per percorrere qualunque strada o distanza dona alcuni valori aggiunti alla
nostra vita e alla nostra percezione: si impara ad accettare gli imprevisti, si
scopre lo spirito di adattamento, si assapora il silenzio, si impara a distinguere
tra superfluo e necessario. Visitare in macchina un luogo non renderà mai quel
luogo tanto speciale come arrivarci a
piedi, anche solo dopo mezz’ora di cammino.
Ormai da qualche tempo anche
il turismo culturale si sta evolvendo sempre più in questa direzione, con la
nascita e lo sviluppo di cammini, sentieri, tracciati, aree protette dedicate,
una manualistica e compendi di itinerari
curati e precisi. In effetti la nostra regione è solcata da una gran quantità
di strade antiche (le strade romane, le strade di pellegrinaggio, le vecchie
mulattiere abbandonate, i sentieri dei pastori) in cui il contatto con la
storia ed il territorio è vivo e sorprendentemente appagante. Le ragioni di
questo crescente successo sono molteplici, ad alcune abbiamo accennato poco
sopra, ma tendenzialmente sono di tre tipologie: motivazioni fisiche,
motivazioni ecologiche, motivazioni culturali. A quelle fisiche abbiamo già
accennato all’inizio, ma è opportuno segnalare che visitare luoghi camminando o
passeggiare in un bosco, aiuta a combattere lo stress , regolarizza la
respirazione, rinforza il cuore, una regolare abitudine al cammino aumenta il
livello generale di benessere psico – fisico e combatte l’obesità.
Con l’avanzare di una
consapevolezza ecologica sempre più radicata, inoltre, si è avviata una
riflessione tesa al ripensamento della cosiddetta sostenibilità, sia per quel
che concerne gli spostamenti quotidiani (recarsi al lavoro), ma anche per quel
che concerne la vacanza o la semplice visita. Insomma, sempre più persone si
mettono in cammino per visitare i luoghi del nostro territorio. Eh si, perché
spesso ci si dimentica, pur sbandierando fedi ecologiste più o meno convinte,
che camminare è in assoluto il modo più ecologico per spostarsi, magari
abbinato ai mezzi pubblici. Riscoprire il cammino rende liberi. Ci libera dalle
limitazioni che la società della comodità ci mette davanti, ci consente di
poter scegliere un’alternativa che ci
permetterà sempre di recarci dove vogliamo, a dispetto di tutte le barriere e
gli ostacoli (scioperi compresi), tutto questo nella certezza di fare veramente
qualcosa per l’ambiente. Non si tratta di diventare integralisti del cammino
(ne conosco e non conducono una vita molto semplice), ma di iniziare a riconsiderare quando sia veramente una
questione solamente di pigrizia la scelta di non camminare e di iniziare a
godere di qualche bella passeggiata, magari ogni tanto.
Le motivazioni culturali sono
una conseguenza di tutto questo. Sul nostro territorio si snodano veramente
percorsi che da millenni disegnano il cammino di soldati, religiosi, santi,
mercanti e fuggiaschi. Percorrere queste antichissime arterie di comunicazione
a piedi, poggiare il piede sull’antico lastricato di una strada romana è
veramente un’esperienza che rimane dentro. Addentrarsi in un bosco lungo un
sentiero serpeggiante tra i monti. Dedicare un’ora a passeggiare sul lungo
Tevere. Raggiungere con un po’ di fatica un eremo sperduto. Non sono solamente
sensazioni uniche, sono un modo del tutto diverso di vedere tanto la meta
quanto il percorso. Nessuno potrà mai spiegare come la lentezza del cammino
accresce l’osservazione di ciò che ci circonda, come un’abbazia appare piano
piano, a cominciare dal campanile per poi mostrarsi maestosa a poco a poco,
curva dopo curva, metro dopo metro. Sotto questo punto di vista mettersi in
cammino è anche un po’ mettersi alla prova, tentare, scoprire. E’ un’esperienza
che fa entrare in contatto diretto con la realtà, che sia montagna, città,
spiaggia o strada. La velocità con cui ci passa accanto il panorama mentre
viaggiamo in auto o in moto nasconde il vero volto del territorio, mentre
camminare, nella piena libertà, immersi nei pensieri, con l’occhio limpido
proietta l’ambiente dentro di noi e ce ne rende parte; in questo modo la meta,
ciò che vogliamo visitare, diventa non l’esperienza esclusiva, bensì una
porzione di esperienza che si dilata a tutto quello che si incontra durante il
cammino di avvicinamento, stati d’animo e umore compreso. Lo stato d’animo
diviene in tal modo esattamente la stessa cosa dell’ambiente circostante e
tutto insieme viene a costituire la nostra esperienza, per questo un luogo non
sarà mai lo stesso per due persone che l’hanno vissuto e non solamente visto.
Il grande filosofo Rousseau ebbe a dire, con
magistrale riassunto di tutto quello fin qui accennato: “Mai ho pensato, ho
vissuto, sono stato vivo e me stesso come in quei viaggi che ho fatto a piedi e
da solo”. Impossibile smentire.
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