Sull'isola deserta della barriera corallina - LADY MUSGRAVE ISLAND -
[Australia]
Lo Spirit Of 1770, un catamarano leggero a motore, spinge coraggiosamente la prua verso il mare aperto. Dagli oblò, le onde gonfiate dalle correnti oceaniche, sembrano accanirsi sulla malferma imbarcazione che ne viene investita continuamente. Si impenna, vibra, si alza su un lato e pericolosamente si poggia solo per attendere un nuovo assalto dei flutti. A bordo, a parte l’equipaggio, quasi tutti sono in preda al mal di mare e sopraffatti dalla nausea. Siamo partiti dal porto di un villaggio dal nome curioso: 1770, dove il capitano Cook sbarcò, appunto in quell’anno sulla costa australiana, diretti su una piattaforma nel mezzo della barriera corallina posta a tre ore e mezzo di navigazione dalla costa orientale. Qui si fermerà la maggior parte dei nostri compagni di viaggio, ora intenti a superare il momento da sbornia che stanno vivendo per godersi una giornata di snorkeling tra i colori vivaci del famoso fondale e tornare indietro nel tardo pomeriggio. Noi invece saremo sbarcati da una lancia sull’isola disabitata chiamata Lady Musgrave, che fa parte dell’arcipelago isolato e intatto delle Capricornia Keys. Abbiamo chiesto on line un permesso al governo australiano per poter raggiungere l’isola con l’intento di passarci la notte. Siamo avvertiti di portare acqua e viveri in eccesso, poiché non vi è niente e se il mare fa capricci ancora maggiori non è detto che possano rivenirci a prendere.
Mentre
ragazzi e signori indossano il necessario e si lanciano dalla piattaforma
all’esplorazione dell’oceano, noi ne approfittiamo per recuperare le forze e
ammirare da lontano la bellezza selvaggia dell’isola da sogno che ci appare
come nelle descrizioni dei romanzi di avventura, intatta e meravigliosa.
Abbracciata da una striscia di spiaggia bianchissima, ricoperta da una
lussureggiante vegetazione, circondata da un mare cristallino che si perde fino
all’orizzonte, maestoso. E’ primo pomeriggio quando la barca dal fondo piatto
ci lascia sulla spiaggia meridionale, unico punto di sbarco. Non calpestiamo
sabbia, ma bianchissimi coralli, portati a riva dal mare. In realtà tutta
l’isola non è terraferma, ma sedimentazione di coralli in centinaia di anni il
cui cumulo ha alzato la barriera al di sopra del livello del mare. Camminiamo
letteralmente su una porzione emersa di barriera corallina. Il sentiero si fa
largo attraverso la fitta foresta di Pisonie, gli unici alberi in grado di
adattarsi a questa conformazione, con le loro radici fuori dal suolo e la
struttura leggera. E’ quasi incredibile trovare un bosco così distante
dalla terraferma. In breve siamo sulla spiaggia occidentale, qui c’è una
stazione radio, un gabinetto a fossa nera, alcuni impavidi campeggiatori
dispersi sotto l’ombra delle Pisonie.
Anche noi piantiamo la tendina ultraleggera portata appositamente dall’Italia in una piccola radura presso la spiaggia, recuperiamo maschere e mezze mute e corriamo verso l’oceano. Il fondale rimane basso a lungo, chiuso da ogni parte dai coralli vivi a filo d’acqua; fatichiamo non poco per trovare un varco, presidiato comunque, da un gran numero di cetrioli di mare. Quello che ci aspetta è uno spettacolo di impressionante bellezza. Distese di coralli a perdita d’occhio, tra i quali navigano sicuri pesci pagliaccio e tutte le forme di vita dall’aspetto bizzarro e i colori sgargianti tipici di questo ecosistema. La barriera corallina sprofonda per decine di metri, creando un possente muro che tiene al sicuro le coste dell’isola. Attraverso un profondo crepaccio che rompe la continuità di questa ci spingiamo in mare aperto. Qui l’acqua diventa profondissima, è il regno degli squali. Ma nel voltarci i primi abitatori di queste profondità che ci vengono incontro sono una magnifica coppia di tartarughe marine. Queste tartarughe, abbastanza comuni anche nel Mediterraneo, trovano qui un habitat perfetto per deporre le uova, protette dalle acque basse che circondano la spiaggia. Nonostante la loro imponente mole (sono entrambe poco meno lunghe di me) si muovono agilmente nell’acqua, tanto da farci sentire decisamente goffi. Per un pezzo fanno la nostra stessa strada, guardandoci più con curiosità che con sospetto. Intorno a noi l’esplosione di vita, di colori, forme sembrano condurci per mano attraverso un giardino fiorito nato dalla più sfrenata delle fantasie. Qui la Natura ha potuto sperimentare, provare, fantasticare; eppure questo eden sommerso è un ecosistema delicato, nel quale l’equilibrio della diversità è garantito da condizioni il cui mutamento, anche minimo, possono portare a conseguenze letali. Il riscaldamento delle acque, il loro innalzamento, la crescente frequentazione turistica (per quanto estremamente controllata), sono minacce da prendere molto seriamente se si vuole preservare quest’angolo di paradiso.
Anche noi piantiamo la tendina ultraleggera portata appositamente dall’Italia in una piccola radura presso la spiaggia, recuperiamo maschere e mezze mute e corriamo verso l’oceano. Il fondale rimane basso a lungo, chiuso da ogni parte dai coralli vivi a filo d’acqua; fatichiamo non poco per trovare un varco, presidiato comunque, da un gran numero di cetrioli di mare. Quello che ci aspetta è uno spettacolo di impressionante bellezza. Distese di coralli a perdita d’occhio, tra i quali navigano sicuri pesci pagliaccio e tutte le forme di vita dall’aspetto bizzarro e i colori sgargianti tipici di questo ecosistema. La barriera corallina sprofonda per decine di metri, creando un possente muro che tiene al sicuro le coste dell’isola. Attraverso un profondo crepaccio che rompe la continuità di questa ci spingiamo in mare aperto. Qui l’acqua diventa profondissima, è il regno degli squali. Ma nel voltarci i primi abitatori di queste profondità che ci vengono incontro sono una magnifica coppia di tartarughe marine. Queste tartarughe, abbastanza comuni anche nel Mediterraneo, trovano qui un habitat perfetto per deporre le uova, protette dalle acque basse che circondano la spiaggia. Nonostante la loro imponente mole (sono entrambe poco meno lunghe di me) si muovono agilmente nell’acqua, tanto da farci sentire decisamente goffi. Per un pezzo fanno la nostra stessa strada, guardandoci più con curiosità che con sospetto. Intorno a noi l’esplosione di vita, di colori, forme sembrano condurci per mano attraverso un giardino fiorito nato dalla più sfrenata delle fantasie. Qui la Natura ha potuto sperimentare, provare, fantasticare; eppure questo eden sommerso è un ecosistema delicato, nel quale l’equilibrio della diversità è garantito da condizioni il cui mutamento, anche minimo, possono portare a conseguenze letali. Il riscaldamento delle acque, il loro innalzamento, la crescente frequentazione turistica (per quanto estremamente controllata), sono minacce da prendere molto seriamente se si vuole preservare quest’angolo di paradiso.
Il
resto della giornata è dedicata all’esplorazione dell’isola. Attraverso
sentieri tra le Pisonie raggiungiamo la spiaggia a sud est, qui sorge un faro e
l’ampia laguna che circonda tutto il lato meridionale dell’isola. L’acqua da
questa parte è completamente chiusa da un recinto di barriera che la mantiene
alta non più di mezzo metro. L’ambiente è completamente diverso rispetto alla
zona della prima immersione, poche tracce di vita, nessuna bizzarra costruzione
corallina. Dalla spiaggia si scorge ogni tanto la sagoma bruna di una tartaruga
marina che attraversa questa piscina naturale seguendo percorsi ormai millenari.
Percorrendo la costa troviamo almeno due siti di deposizione delle uova di
questo splendido animale, a sud e a ovest; si tratta di mucchi di coralli e
fogliame all’interno dei quali vendono deposte le uova dalle quali usciranno i
piccoli che dovranno guadagnarsi il mare percorrendo i pochi metri di spiaggia in una traversata drammatica. La
schiusa è già terminata, a testimonianza di questo evento meraviglioso
rimangono gusci vuoti. L’isola per la
sua posizione di isolamento non sembra accogliere insetti, in compenso la volta
della foresta risuona di versi di numerosi uccelli marini che trovano qui e
nelle altre isole dell’arcipelago una base perfetta per le loro spedizioni di
pesca. Le spiagge sono occupate dalle Ardenne Pacifiche, che soprattutto al
tramonto compiono le loro evoluzioni in un gioco di colori nel sole che muore.
Poco più in là nell’acqua bassa la Garzetta del Reef compie una puntuale
esplorazione della laguna alla ricerca di piccoli invertebrati. Nella foresta
il continuo verso delle Sterne Stolide rende questa’isola sperduta tutt’altro
che silenziosa. Raggruppate in numeri impressionanti sugli alberi ci seguono
con sguardo noncurante mentre camminiamo sotto di loro. Un suono sommesso di
fogliame calpestato e zampe che raspano il terreno annuncia, improvvisa, la
comparsa di un Rallo, grazioso uccello dal piumaggio rossiccio incapace di
volare; chissà come è giunta fin qui questa nutrita colonia di spazzini del
sottobosco.
Giunge
la notte, il momento in cui l’isola da il meglio di sé. All’interno della
piccola tenda che abitiamo penetrano i versi concitati dei tanti volatili che
popolano questo fazzoletto di terra, fusi in una possente sinfonia col ritmo
cadenzato del mare. Già il mare, che per almeno un centinaio di chilometri
domina indiscusso l’orizzonte tutto intorno. Da sola questa oscurità dispersa e
sperduta vale il viaggio intrapreso. Un senso di confortevole precarietà si
impossessa di noi; qui lontano da tutto, corrente elettrica, cellulari,
televisione, lasciati su 140 metri quadrati di terra circondati solamente da
chilometri di disabitato oceano, si
tende a riscoprire a pieno il senso della parola essenzialità, come di una
condizione che, contrariamente a quello che ci hanno abituato a credere,
permette di sentirsi realmente vivi.
Il
giorno successivo attendiamo speranzosi sulla spiaggia nord l’imbarcazione che
deve ricondurci al catamarano. Quando all’orizzonte finalmente si profila, il
ritorno alla civiltà ci suscita sentimenti contrastanti. La condizione di
naufraghi sarebbe potuta durare ancora prima di divenirci pesante.
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