Solitudini e silenzi,
aggregazione e lavoro sui Monti Lepini
C’è
stato un tempo, un lunghissimo tempo, in cui i nostri monti erano luoghi
selvaggi e solitari, i nostri paesi, piccoli e raccolti in loro stessi, erano
isole in uno sterminato oceano di verde. Boschi e pietre, isolati insediamenti
di pastori e un’ intrigata rete di sentieri che univano questa sparsa umanità
come sottili fili nella selva.
Spesso
quando si è soli tra i nostri monti, si avverte più forte quel senso di
appartenenza alla nostra gente. Spesso, immerso in quei silenzi, ho sentito un
legame con una vita che non è più mia, con la vita del carbone, delle bestie,
della neve, della fatica e guardando dalla cima del Semprevisa o del Capreo, giù nella
vallata, sonnecchiare Carpineto nella mente ho rivissuto la meraviglia e la
gioia del viandante che dopo giorni di cammino tra i sentieri, finalmente
intravedeva il paese. “Finalmente oggi saremo a Carpineto”, finalmente una
locanda, del cibo, un caminetto con il fuoco che danza e riscalda. Il commercio
nelle nostre comunità è sempre stato un fattore aggregante e di movimento, ha
fatto conoscere ed incontrare le nostre comunità, dopo una o più giornate di
cammino attraverso i boschi, lungo strade strappate alla montagna; un tempo il
mercato, le fiere, le feste patronali erano l’epicentro di questo movimento.
Dopo i silenzi di giorni trascorsi nelle capanne lepine, i pastori tornavano a
vendere, comprare, ascoltare ciò che chi veniva da più lontano aveva da
raccontare; un’umanità eterogenea che dava impulso alla vita di questa terra.
Si saliva dal mare, dalla pianura pontina, col pesce e con la sapienza di chi
aveva visto di più. Già la sapienza, quella dei nostri nonni, tutto pratica e
pure tutta poesia. Il viandante andava e tornava, narrava e ascoltava, comprava
e vendeva nelle nostre piazze, poi attraversava di nuovo i silenzi e portava la
sua ricchezza nel paese vicino.
Oggi
quale spazio ha ancora la cultura millenaria (eh si, di millenni stiamo
parlando) di queste genti? Che posto hanno i silenzi che danno valore alle
parole? Che posto ha la fatica che da valore al denaro? Forse nessuno. Allora
perché quel brivido vicino Colle La Costa, quando a mala pena inizia ad
intravedersi Carpineto, perché quel salto al cuore, quella gioia come se fosse
la meta attesa da giorni? Tante domande. Da secoli le genti lepine si
incontrano, a volte si scontrano, ma sempre e comunque rafforzano in questo
modo la propria auto-rappresentazione. L’immagine di sé e della propria storia,
di tutta quella serie complessa di dinamiche anche di sviluppo territoriale
avviene attraverso il confronto e all’incontro, anche ludico delle diverse
componenti sociali, proprio come al tempo della fiera e del viandante. Non è
una immagine solamente evocativa, si parla di percezione della comunità locale
da proiettare al di fuori, anche in termini turistici, ma prima di ogni altra
cosa da avvertire come propria.
L’identità
è immagine e l’immagine si vende, ma deve prima di tutto essere sostanza,
essere comunità, essere ancora e nonostante tutto nostro nonno e le sue bestie,
perché in fin dei conti le nostre feste, le nostre comunità sono state
realizzate da lui, dai suoi silenzi e dalla sua gioia alla vista del paese. La
forza è proprio in questo sentirsi comunità, in questi sottilissimi fili che hanno
legato i paesi, le chiese, i mercati. La comunità diventa senso di appartenenza
e motivo di aggregazione, motivo di sviluppo personale, ma soprattutto fattore
di crescita economica, nell’organizzazione di iniziative comuni e condivise nel
segno dell’immagine di sé e dell’autorappresentazione.
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