mercoledì 5 febbraio 2020









Solitudini e silenzi, aggregazione e lavoro sui Monti Lepini

C’è stato un tempo, un lunghissimo tempo, in cui i nostri monti erano luoghi selvaggi e solitari, i nostri paesi, piccoli e raccolti in loro stessi, erano isole in uno sterminato oceano di verde. Boschi e pietre, isolati insediamenti di pastori e un’ intrigata rete di sentieri che univano questa sparsa umanità come sottili fili nella selva.
Spesso quando si è soli tra i nostri monti, si avverte più forte quel senso di appartenenza alla nostra gente. Spesso, immerso in quei silenzi, ho sentito un legame con una vita che non è più mia, con la vita del carbone, delle bestie, della neve, della fatica e guardando dalla cima del Semprevisa o del Capreo, giù nella vallata, sonnecchiare Carpineto nella mente ho rivissuto la meraviglia e la gioia del viandante che dopo giorni di cammino tra i sentieri, finalmente intravedeva il paese. “Finalmente oggi saremo a Carpineto”, finalmente una locanda, del cibo, un caminetto con il fuoco che danza e riscalda. Il commercio nelle nostre comunità è sempre stato un fattore aggregante e di movimento, ha fatto conoscere ed incontrare le nostre comunità, dopo una o più giornate di cammino attraverso i boschi, lungo strade strappate alla montagna; un tempo il mercato, le fiere, le feste patronali erano l’epicentro di questo movimento. Dopo i silenzi di giorni trascorsi nelle capanne lepine, i pastori tornavano a vendere, comprare, ascoltare ciò che chi veniva da più lontano aveva da raccontare; un’umanità eterogenea che dava impulso alla vita di questa terra. Si saliva dal mare, dalla pianura pontina, col pesce e con la sapienza di chi aveva visto di più. Già la sapienza, quella dei nostri nonni, tutto pratica e pure tutta poesia. Il viandante andava e tornava, narrava e ascoltava, comprava e vendeva nelle nostre piazze, poi attraversava di nuovo i silenzi e portava la sua ricchezza nel paese vicino.
Oggi quale spazio ha ancora la cultura millenaria (eh si, di millenni stiamo parlando) di queste genti? Che posto hanno i silenzi che danno valore alle parole? Che posto ha la fatica che da valore al denaro? Forse nessuno. Allora perché quel brivido vicino Colle La Costa, quando a mala pena inizia ad intravedersi Carpineto, perché quel salto al cuore, quella gioia come se fosse la meta attesa da giorni? Tante domande. Da secoli le genti lepine si incontrano, a volte si scontrano, ma sempre e comunque rafforzano in questo modo la propria auto-rappresentazione. L’immagine di sé e della propria storia, di tutta quella serie complessa di dinamiche anche di sviluppo territoriale avviene attraverso il confronto e all’incontro, anche ludico delle diverse componenti sociali, proprio come al tempo della fiera e del viandante. Non è una immagine solamente evocativa, si parla di percezione della comunità locale da proiettare al di fuori, anche in termini turistici, ma prima di ogni altra cosa da avvertire come propria.
L’identità è immagine e l’immagine si vende, ma deve prima di tutto essere sostanza, essere comunità, essere ancora e nonostante tutto nostro nonno e le sue bestie, perché in fin dei conti le nostre feste, le nostre comunità sono state realizzate da lui, dai suoi silenzi e dalla sua gioia alla vista del paese. La forza è proprio in questo sentirsi comunità, in questi sottilissimi fili che hanno legato i paesi, le chiese, i mercati. La comunità diventa senso di appartenenza e motivo di aggregazione, motivo di sviluppo personale, ma soprattutto fattore di crescita economica, nell’organizzazione di iniziative comuni e condivise nel segno dell’immagine di sé e dell’autorappresentazione.

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